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martedì 29 gennaio 2019

Le parole di Dante per descrivere i lager nazisti!


Spesso, ma forse in modo particolare in questi giorni in cui si ricorda la Shoah (un evento che non dovrà mai essere dimenticato), sarà venuto in mente a tutti noi come le descrizioni dei lager nazisti sembrino somigliare tantissimo ad alcune descrizioni dantesche delle pene dell'Inferno.
Ed in effetti, solo esseri estremamente malvagi, esseri umani ridotti a «demoni», potevano anche solo immaginare di mettere in atto atrocità come quelle che sono state fatte dai nazisti.

Non è un caso, quindi, che per descrivere quei luoghi e quelle assurde esperienze, siano state usate anche dai sopravvissuti, proprio delle espressioni tratte dalla Divina Commedia.
Bolge, diavoli, demoni, gironi infernali, l'eterno dolore, la perduta gente. I lager sono dei veri e propri «inferni» in terra, anche se le vittime non avevano nessuna colpa.


Di Giovanni Stradano - Opera propria
2007-10-25,
Per l'immagine, vedi qui

Questo di cui stiamo discutendo non è un mero esercizio linguistico-letterario (che sarebbe fuori luogo per gli eventi in questione).
Le parole di Dante vengono usate dai sopravvissuti perché è difficilissimo per loro trovare espressioni adeguate all'orribile esperienza che hanno vissuto. E' un modo per trasmettere la realtà di quei momenti in modo espressivo ed immediato.
E' un modo per lasciarne memoria perenne trovando le parole più giuste per comunicare.

Ed è proprio su questo che sta lavorando Marina Riccucci, docente di letteratura italiana dell'Università di Pisa, da circa due anni: sulle «parole per dirlo».
La Riccucci ha preso in considerazione per la sua ricerca fonti non letterarie, cioè diari, lettere e racconti di chi ha vissuto i campi di sterminio.
In tutti questi casi, spiega la ricercatrice, «a colpire è l'enorme difficoltà che i testimoni hanno nel raccontare e la frase che usano di più è: "non ci sono parole per dirlo"».
Ed ecco il motivo del ricorso al lessico della Commedia: perché «quando queste persone arrivano a dare un nome e un volto a ciò che hanno visto e subìto, viene loro spontaneo, quasi in virtù di un automatismo, ricorrere all'immaginario infernale dantesco, indipendentemente dal loro livello di istruzione; perché si attinge a Dante come a un patrimonio linguistico collettivo, senza ambizioni letterarie, in nome dell'urgenza di trovare un codice, le parole, appunto»

Per esempio, per descrivere l'arrivo nel Lager, spesso gli autori dei testi usano l'espressione che lastrica la porta dell'Inferno di Dante: «Lasciate ogni speranza o voi che entrate / … / Per me si va nella città dolente, / per me si va ne l'etterno dolore, /per me si va tra la perduta gente». 
Spesso, poi, ripetono termini come «bolgia» e 'Malebolge', o espressioni come «voci alte e fioche», «pianti e altri guai», «girone infernale».
Quando parlano del momento della liberazione, dicono di essere tornati «a riveder le stelle»

E' evidente che non siamo di fronte a nessuno sfoggio letterario. Ai sopravvissuti veniva normale utilizzare le espressioni dantesche per filtrare cose altrimenti indicibili ed inesprimibili.

«I campi di concentramento», dice ancora la Riccucci, «ritornano nelle parole dei testimoni come la realizzazione concreta di una fantasia malvagia e perversa, quella di cui Dante ci ha offerto, appunto, il migliore e il più rappresentativo esempio. Solo che la giustizia divina che caratterizza il poema dantesco è letteralmente capovolta: nei lager, infatti, a essere torturate e uccise furono vittime innocenti dei colpevoli aguzzini. Non dimentichiamo mai che quello che i sopravvissuti hanno conosciuto e subìto è un regno dei vivi con carnefici e dannati, in cui milioni di persone si sono trovate a essere dannate senza avere commesso alcuna colpa. È questo che dobbiamo ricordare: perché nessuno dimentichi, perché niente di così atroce si ripeta mai più.»

Entro il 2019, la Riccucci pubblicherà in proposito almeno tre libri, uno dei quali insieme all'allieva Sara Calderini sulla rivista «Italianistica».
Tra le fonti utilizzate, c'è per esempio, "Un mondo fuori dal mondo", indagine dell'istituto Doxa condotta nel 1971 tra gli ex deportati italiani nei vari capi di sterminio, ma anche alcune interviste, realizzate dalla stessa Riccucci, alla Senatrice Liliana Segre, a Mauro Betti (dissidente politico internato in vari campi e piurtroppo scomparso l'anno scorso) e a Goti Bauer, la donna italiana più anziana ancora in vita sopravvissuta ad Auschwitz.

Questo post è tratto da un articolo della Nazione

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